Fiocchi
Dal latino hibernum, da hiems; dal greco
 cheima, da un’originaria forma indoeuropea, gheima; in sanscrito himàs 
(freddo, neve); Himalaya (sede della neve). Curiosamente il greco 
chimaros (capra d’inverno) da cui chimera, ci lancia una sfida alla 
comprensione.
La stagione fredda, che formalmente inizia il 21 dicembre e termina 
il 20 marzo, in realtà, come le altre stagioni, sembra per noi 
contemporanei in gran parte perduta. La natura non ci circonda più, come
 nei tempi antichi, in modo intenso e obbligatorio. Non tanto, o non 
solo, per la tecnologia, che rende facile attenuare l’effetto caldo o 
freddo. Freddo, neve e pioggia sono sentiti come fastidiosi contrattempi
 di un andare rapido e meccanico da un luogo ad un altro.
Se ci pensiamo bene, la natura intera è vista come un fastidioso e 
indiscreto accidente e la sua magnifica spettacolarità viene ammirata 
attraverso mediazioni: fotografie, documentari televisivi, filmati, 
oppure con preziosi viaggi esotici. Tutto si riduce a merce, più o meno 
valorizzata dalla somma di «denaro», unico elemento ritenuto 
indispensabile per soddisfare ogni esigenza, reale o immaginata.
Eppure ognuno di noi proviene da questo mondo dominato da una natura 
che ci ha condotto sulla soglia del presente e forse ci sta 
abbandonando. Forse a qualcuno viene il dubbio che siamo noi che 
l’abbandoniamo. Forse stiamo superando il punto di non ritorno, rompendo
 definitivamente ciò che ci lega alla vita, oppure questo allontanamento
 dalla natura ha un significato che sfida l’uomo a proseguire verso un 
futuro evolutivo?
In attesa dell’inverno, che comincia quando il sole sembra morire e 
la notte predominare, dove anche la vegetazione pietrifica nel gelo e 
riduce al minimo i processi viventi, invitandoci al letargo, 
all’interno, al coperto, al calore animale, è allora che sorge in noi 
una scintilla di consapevolezza. Come una gemma in attesa di sbocciare, 
in ogni uomo può esserci la coscienza dell’Io, se non viene negata 
dall’egoismo dell’avere un corpo materiale da estendere e confondere con
 le cose possedute.
Certo, se non confuso, con l’istinto animale che ci spinge a 
grufolare a quattro gambe alla ricerca di piaceri perduti o sognare di 
perfezioni vitali, di civiltà utopiche senza tempo. Togliendo tutto ciò 
che distrae, come l’inverno ci invita a fare, senza colori sgargianti, 
senza luminarie potenti, senza abbondanza e senza sbornie, ma in 
perfetta sobrietà è possibile contemplare la rinascita dell’essere 
eterno che è in noi.
Oggi, ora, in questo tempo sfavorevole e inopportuno, quel delicato e
 inesperto essere che è in noi può nascere e svilupparsi nel Sé 
spirituale. Tutto il mondo che lo circonda gli renderà omaggio 
riconoscendolo come Re, atteso da lungo tempo nei miti.
Il cervello si metterà a sua disposizione come strumento materiale 
del pensiero, l’anima con la sua sensibilità, razionalità e coscienza 
aprirà i tesori dell’inconscio. Persino la vitalità sarà stimolata a 
rendere memoria della vita passata costellata di errori e sconfitte da 
cui trarre insegnamenti preziosi.
Buon Natale.
(30 Novembre 2013  
 
   
   Filippo Zaccaria   - Biolcalenda dicembre 2013)
 


